Cari Consoeurs, Confrères, Amiche ed Amici della Chaine,
forti del ricordo della divertente serata dell’anno passato stiamo organizzando una serata danzante con menù a buffet per il 13 febbraio p.v., martedì grasso.
Ci riuniremo presso la nostra, probabile, futura sede, il Ristorhome Siliqua, condotto dai nostri amabili ospiti Daniela e Filippo che stanno organizzando un menù dedicato all’evento carnascialesco, che è in via di definizione e che pubblicherò in questi giorni.
Sarà una serata in maschera e quindi si invitano tutti a provvedere da un minimo ad un massimo di mascherata a seconda della voglia e dell’indole di ciascuno, ma il divertimento è anche quello di cambiare e cambiarsi, di ballare e cantare, visto che è prevista anche l’animazione.
La serata avrà inizio puntualmente alle ore 20:15 e per i Confreres e Conseurs è obbligatorio comunque il ruban in quanto evento ufficiale della Chaine.
Il prezzo della serata è stata fissata in 45,00 € ma dobbiamo raggiungere un numero minimo di partecipanti per mantenerlo così contenuto e quindi invito tutti a dare al più presto le loro adesioni perché possiamo organizzarci al meglio.
Ho letto una interessante descrizione della storia del Carnevale che voglio condividere con tutti Voi e che proviene da un documento pubblicato da una Ns amica, già Conseur, Mariolina Frisella, sempre attenta alla storia, soprattutto delle tradizioni, e che troverete in allegato.
Ricordo peraltro che è in scadenza il pagamento della quota annuale e verrà comunicato a ciascuno la cifra spettante che, come sapete, è in funzione delle presenze agli eventi pregressi dell’anno 2017.
Per gli amici più assidui che sono intenzionati ad entrare a far parte della nostra famiglia raccomando di inviarmi una mail o un messaggio in WA di richiesta di adesione ed io invierò il modulo; questo a sua volta compilato dovrete restituirlo perché sarà mio compito inviarlo alla sede nazionale, che a sua volta lo invierà a Parigi per l’approvazione; a seguito di questa si dovrà versare la quota di iscrizione.
Ricordo che le intronizzazioni, e quindi l’investitura a diventare Conseur o Confrere, con la consegna del Ruban, verranno fatte durante la cerimonia che si svolgerà nel corso dello Chapitre.
Quest’anno, come molti sanno già, lo Chapitre del Bailliage d’Italia sarà il 50° e si svolgerà a Roma dal 12 al 15 aprile, in allegato Vi invio la Brochure, e la cerimonia delle intronizzazioni si svolgerà il sabato 14 aprile nella mattinata, in sede ancora da definire, e che comunicherò appena sarà ufficializzata.
Prego tutti coloro che siano interessati alla partecipazione di questo importante evento, dove tra l’altro sarà presente in modo del tutto eccezionale e per la prima volta il Presidente Internazionale della Chaine Yam Atallah, e di partecipare ai vari eventi in programma, di darmene comunicazione onde poter coordinarci onde trascorrere assieme le giornate romane, al di là della frequentazione alle varie iniziative suggerite, che ovviamente ognuno è libero di scegliere.
Per le comunicazioni ovviamente sempre ai nn. che conoscete mio 348.4149120, tel., Sms, o mail vivaldiroberto1@virgilio.it o di Eraldo 335 5236033 e mail haradtutto@gmail.com; per i partecipanti ai componenti del Bailliage e ai Simpatizzanti registrati su WA, è possibile usare anche questa possibilità come sempre.
Fraternamente Vi abbraccio Tutti e a presto risentirci per ulteriori dettagli.
Vs Bailli Roberto Vivaldi
Palermo, lì 04/02/18
La raccontano le testimonianze di Francesco Maria Emanuele e Gaetani, marchese di Villabianca, dell’etno-antropologo Giuseppe Pitrè, di Vittorio Gleijeses, e dello studioso Pancaro. Non lo immaginavo ma il Carnevale a Palermo vanta una storia antica ma anche ricca di episodi se negli anni 1544 e 1549, il Senato palermitano dovette intervenire, come si legge negli atti, per imporre il divieto di utilizzare maschere nel periodo carnascialesco e se qualche anno più tardi il Vicerè, duca d’Ossuna ordinò, nei giorni designati, la maschera per tutti, comminando pene ai contravventori.
A Palermo il primo carro sfilò il 3 marzo 1601, raffigurava il Dio Nettuno attorniato da sirene danzanti e da quella data il Carnevale andò arricchendosi fino a contare, nel carnevale dal 19 gennaio al 17 febbraio 1648, giostre, sfilate di carri, cavalcate e cuccagne, organizzate dal vicerè Pietro Teller de Giron, duca di Ossuna che se ne andava mascherato per Via Cassaro, con altri signori, in mezzo al popolo. Era una festa: “Le giostre organizzate dal duca di Ossuna, durante il Carnevale superavano per importanza e magnificenza anche quelle di Roma e di Firenze”. (Vittorio Gleijeses, “Piccola storia del Carnevale” Alberto Marotta Editore, 1971)
Gli spettacoli teatrali in maschere narravano di fatti realmente accaduti e lo stesso succedeva a Napoli. Si racconta di quando la maschera napoletana Pulcinella incontrava il “Mastro di Campo” al suono del “colascione”, un liuto a manico lungo usato in Italia meridionale nei secoli XVI e XVII. Era il “Giuoco del Castello”, ricordato ancora a Mezzojuso, dove il personaggio cattivo in molte rappresentazioni storico-carnevalesche del Palermitano, appunto il maestro di campo la cui origine sembrerebbe derivare dal grado militare francese, con la sua maschera rossa ed un enorme naso, a Mezzojuso si batteva per conquistare la regina Bianca di Navarra.
Per le strade, chi si travestiva da schiavo o si travestiva da pigmei, i “Balla-Virticchi” e ballava al suono di antichi tamburi turchi.
Non mancavano i suoni prodotti da brogní o trummi (conchiglie marine), dai bíaturi e mulígni (campane per ovini), e, ancora da quaddare (caldaie), padeddi (padelle), zappuni e marabbeddi (zappe di ogni tipo), percossi freneticamente da bastoni, il tamburo cilindrico a bandoliera (Pitrè racconta che apriva il corteo carnevalesco della Tubbíana) le scattagnette, i flauti di canna, i triangoli, i marranzaní, i giocattoli sonori, e il buffo e irriverente tamburo a frizione, caccamella, usato solo per carnevale. Pitrè descrive una pentola di latta, sulla cui bocca si tende la pelle di una vescica di bue o un foglio di spessa pergamena, nel centro del quale, forato, un pezzo di legno bagnato e stretto fortemente dalla mano della maschera, con un movimento di va e vieni, produce un suono cupo e profondo.
Si usavano anche i “vozzi”, le gole delle galline lavate con acqua e sale, asciugate e gonfiate come un palloncino che i ragazzini si divertivano a farli scoppiare vicino a qualche persona.
Nelle case si ballava. Venivano chiamati quegli artigiani, barbieri, falegnami, fabbri, che jarmavanu ‘u sonu, sapendo usare il violino, la chitarra, il mandolino.
Nei piccoli agglomerati rurali dell'area Peloritana, i cantori a cíurí dí pípi, vestiti di bianco, con una fascia rossa a bandoliera e il capo coperto dalla meusa (tipico copricapo di orbace), andavano per strada strimpellando uno strumento e decantando versi di sberleffo, per poi chiedere una offerta alla fine della esibizione.
Nel periodo barocco “… passatempo graditissimo era pur quello di buttare qualche cosa addosso alle persone, massimamente nelle vie principali della città, nel Cassero specialmente, e, dal XVII secolo in qua, nella Via Macqueda […] Era questo un gioco molto antico nel Quattrocento, comunissimo nel Cinquecento, nel Seicento e forse anche dopo. Uomini e donne, adulti e fanciulli ci si divertivano maledettamente, facendo a lanciarsi cruscherella (canigghia), polvere bianca, che voleva essere polvere di gesso (prunigghia), ed era quasi sempre calce polverizzata, ed acqua”. (Pitré, Usi e costumi).
Non mancavano le corse sia di cavalli berberi che anche di uomini “…còrsiro li bagasci [prostitute]; e il premio fu una faldetta [gonna] con lo busto di raso arancino….” ( dal diario di Paruta e Palmerino del 2 febbraio 1578)
Le commedie teatrali che venivano rappresentate per carnevale, alle quali partecipavano anche gli ecclesiastici, destavano scandalo perchè licenziose e qualche volta superavano i limiti tanto che nel diario del Paruta si legge: “6 febbraro 1663 il Vicerè D’Ossuna fece recitare una comedia spagnuola innanzi la porta di N. Signora di Piedigrotta, presente il sig. Cardinale ed altri signori. E la mattina fece dire molte messe cantate innanzi detta Madonna”.
Quella rappresentazione teatrale del 10 febbraio 1678 fu definita “Disonesta…” dal Viceré Marcantonio Colonna che esiliò dalla Città la compagnia teatrale.
I teatri furono i luoghi più frequentati dai nobili per balli e veglioni, specialmente il Teatro Santa Cecilia alla Fieravecchia, il Santa Caterina poi detto Real Teatro V. Bellini ed anche in seguito il Politeama. Le strade e le case private restavano luoghi del popolo con le orchestrine itineranti tra cui era famosissima a Palermo La “Tubbiana” era la mascherata di molte persone, variamente vestite, che ballano al suono di un tamburo senza bordone, simile alle sillabe tu bi, tu bi, donde il nome” (Mortillaro, Nuovo Dizion. sicil.ital.”
Doveva essere ricca e fastosa, anche nel 1700 lungo il Cassaro, il Corso V. Emanuele e via Maqueda, la sfilata delle carrozze sulle quali i nobili mascherati si divertivano a lanciare “Pittiddi”, i, coriandoli-confetti alla gente.. Le “carrozzate” riccamente addobbate, e la loro partecipazione divenne sempre più divertente tanto che, sembra, anche Ferdinando di Borbone nel 1802 volle partecipare al carnevale.
Poi le carrozzate si trasformarono in carri allegorici in carta pesta, trainati da cavalli, che rappresentavano scene di vita o caricature. Si svolgevano di solito le domeniche, il Giovedì e il Martedì Grasso e al termine veniva premiata la più bella e originale,
Il La Duca descrive una grande carrozza su cui era riprodotta la statua bronzea di Carlo V di piazza Bologna: l’Imperatore giocava a yo-yo!
Tante le maschere di cui scrive il Pitrè: “l’ammucca-baddotuli” la maschera con la bocca aperta dalla quale una molla spingeva fuori una pallina; la “Vecchia”; “U Baruni”; “l’ursu”; “l’oca”; “lu mortu porta lu vivu”, lu “scalittaru” che “…diverte il pubblico regalando alle donne affacciate alle finestre ed ai balconi fiori, lomie (sorta di agrume), mandarini, piccoli cartocci di confetti, che lega ad una solida e lunga scaletta…”, e quella caratteristica, che si faceva nel Borgo Santa Lucia di Palermo che rappresentava una barca di pescatori che marinai mascherati trascinavano per le strade fermandosi davanti le “Putie” botteghe dei macellai, pastai, panettieri. Con una canna pescavano un rocchio di salsiccia, dei maccheroni, una pagnotta, insomma quanto veniva offerto lasciato pescare.
Anche i “Pulcinella” giravano per Palermo nelle ore pomeridiane, suonando e recitando: “Principaleddu miu di lu mè cori, Apposta vinni cu stu culasciuni, Pr’assaggiari ssi vistri maccarruni” davanti alle botteghe per riempire “il famelico ventre” di tutta la roba che avevano raccolto coronando il tutto con l’immancabile onorificenza a Bacco mediante abbondanti libazioni».
L’orchestra è ambulante: un piffero (friscalettu) ed un paio o due di castagnette (scattagnetti). Questa orchestra, stata pagata “p’ accaparrata” dalle singole maschere, seguita da una folla immensa di monelli e di curiosi, tra’ quali si distingue il siminzaru, il calamilaru, il venditore di vozzi**, il venditore di zuccaru – (bomboloni) – va in giro per la tale o tal’altra strada, e sonando chiama a sè la maschera; quando le maschere son tutte raccolte […] la mascherata è compiuta e va pei luoghi precedentemente stabiliti tra maschere e sonatori,ma per lo più pe’ posti ove abita la famiglia o la promessa sposa del mascherato”. (G. Pitrè, Usi e Costumi).
La folla si sfrenava in balli popolari, come l’abballu d’i pirucchiusi (il ballo dei pidocchiosi), l’abballu d’i pirucchiusi e d’i jimmuruti, (il ballo dei pidocchiosi e dei gobbi), il duello dei Lazzari mascherati alla spagnola, il duello dei gobbi, fino alla Morte di ‘u Nannu e di ’a Nanna, testimoniata dal manifesto storico del 5 marzo 1878, della “Società del Carnevale” che gestiva la manifestazione. Ne ha trattato lo studioso Christian Pancaro che ricorda come quel comitato, sorto nella seconda metà dell’Ottocento per riordinare le varie manifestazioni dopo l’Unità d’Italia, durò fino all’inizio della seconda guerra mondiale.
«Una delle tradizioni più caratteristiche del Carnevale era – ed ancora è – il rogo del fantoccio raffigurante “U Nannu” ossia la personificazione del Carnevale. Il Pitrè scrive: “Il Nannu o Nannu di Carnalivari è la personificazione del Carnevale, la maschera principale, massima, l’oggetto di tutte le gioie, di tutti i dolori, de’ finti piagnistei, del pazzo furore di quanti sono spensierati e capi scarichi. Trovar la sua fede di battesimo è tanto difficile quanto il trovar l’origine d’un uso obliterato; ma senza dubbio, trasformato e mistificato com’è, egli discende in linea retta da un personaggio mitico della remota antichità di Grecia e di Roma. La sua storia è lunga, ma la sua vita è così breve che si compie dalla Epifania all’ultimo giorno di Carnevale. Ordinariamente lo si immagina e rappresenta come un vecchio fantoccio di cenci, goffo ed allegro; vestito dal capo ai piedi con berretto, collare e cravattone, soprabito, panciotto, brache, scarpe. Lo si adagia ad una seggiola con le mani in croce sul ventre, innanzi le case, ad un balcone, ad una finestra, appoggiato ad una ringhiera, affacciato ad una loggia; ovvero lo si mena attorno. Più comunemente è una maschera vivente, che su un carro, su un asino, una scala, una sedia, va in giro accompagnato e seguito dalla gente che sbraita, urla fischia prendendosi a gomitate.” (Usi e Costumi). Spesse volte si affiancava la “Nanna” moglie del “Nannu” ma questo fatto è sorto un po’ più tardi tanto che lo stesso Pitrè lo descrive come uso isolato e non tradizionale. Fino a qualche anno fa in molti quartieri popolari tra cui l’Albergheria – come ha documentato Ignazio E. Buttitta – il Borgo e la Vucciria – era facile incontrare, negli ultimi due giorni del Carnevale, davanti agli usci delle case, o nelle ringhiere dei balconi e in mezzo a qualche piazzetta, dei fantocci imbottiti, su sedie o sdraiati; spesse volte si rappresenta il “Nannu” seduto davanti ad un tavolino e dall’altro lato il “Notaio” nell’atto di scrivere le ultime volontà. Il “Testamento del Nannu” uso purtroppo perso veniva composto o improvvisato dai poeti di strada o da semplice gente con qualche estro letterario, e in versi recitava le volontà del defunto spesso facendo allusioni agli organi sessuali o a fatti di satira politica o di “curtigghiu” (pettegolezzo di quartiere.) In altri casi si usava condurre in giro questo fantoccio su un carretto o, come ricordava una mia prozia ottuagenaria, in posizione supina su di un organetto. Il Martedì grasso, ultimo giorno di Carnevale, davanti a questi simulacri molte donne avvinazzate e anche bambini facevano dei lamenti funebri, in maniera parodistica del tipo: “Murììììuu u Nannuuu… Curnuti sulaaa mi lassasti… senza sasizza sugnuuu…!!!” e via di questo passo; a sera si impiccava ad una fune e gli si dava fuoco tra la gioia di grandi e piccini che ballavano a suon di musica e mangiavano salsiccia, mentre il “Nannu” si consumava tra l’esplosione dei petardi. Ma tutto questo doveva accadere dopo “un’ora di notte” – le ore 20.00 della sera – quando la “guza” ossia la campana della Cattedrale suonava dei rintocchi lugubri sottolineando l’inizio delle astinenze e dei digiuni quaresimali. Anche il famoso “Nannu” promosso dal Comitato “Società del Carnevale” che qualche settimana prima era entrato, con la sua consorte, trionfalmente in città sopra un superbo cocchio, doveva essere sacrificato tra il fuoco purificatore e dopo che per tutto il Martedì sera veniva condotto su e giù per il Cassaro – Corso Vittorio Emanuele – verso Mezzanotte ci si fermava ai Quattro Canti dove, dopo la lettura del Testamento, veniva dato fuoco ed essendo la grossa maschera in cartapesta, una vera e propria bomba, quasi sul finale, esplodeva lanciando una pioggia di stelle filanti e faville… da ciò si capiva che il Carnevale era davvero finito e l’indomani era Quaresima vigilia di altri riti e passatempi sacri!
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